Luca Valdiserri a Romanews.eu: **´Panucci, potevi fare come Kakà…´

Redazione RN
31/01/2009 - 0:00

Roma, Piazza Venezia. Fino a Trigoria è un bel tragitto. Luca Valdiserri, giornalista del Corriere della Sera che si occupa di sport, è abituato a percorrere avanti e indietro la distanza. Conosce i rumori del Fulvio Bernardini, il quartier generale della Roma. Come quelli del centro storico della Capitale, dove ha sede la redazione del suo giornale. Il traffico e il caos non lo disturbano: “La vera Roma è qui (a Piazza Venezia) e nei dintorni. Il frastuono fa parte di questi luoghi, dei quali sono innamorato…”. Valdiserri è reduce dall’ultima conferenza stampa di Spalletti. Quella preceduta dal comunicato del direttore sportivo Pradè sulla vicenda Panucci. Ci guida per i vicoli del centro, lui che è nato a Milano, fino a condurci in un elegante caffè a pochi passi da Piazza del Collegio Romano.Valdiserri, ultimamente la sala stampa di Trigoria fa più frastuono del traffico di Roma.”E’ vero, le polemiche non sono mancate negli ultimi tempi. Il caso Panucci ha fatto un bel fracasso”.Che idea si è fatto della vicenda?”Credo che Panucci abbia sbagliato. Forse anche la società non ha gestito al meglio la situazione. Ma le colpe vere sono del giocatore. Il rapporto tra le parti era logoro da tempo, Panucci poteva anticipare l’uscita: ad una settimana dalla chiusura del mercato non si fa esplodere un caso simile. Tentare di ricomporre la situazione sarebbe stato un bel gesto da parte sua. Simile a quello di Kakà. Poteva mettere da parte i dissapori e dare il suo contributo per il proseguo del campionato. Il divorzio, tra l’altro, non gioverà a nessuno: perchè la Roma non troverà un altro Panucci e lui non troverà un’altra Roma”.Da Mexes che ammicca al Milan, al siparietto Spalletti-Ancelotti. Passando per il fantomatico sovrappeso di Menez e i presunti attriti tra Totti e il suo allenatore. La Roma va forte, ma attorno ad essa c’è sempre un bel vociferare.”Quella di Mexes al Milan è una vicenda che secondo me è uscita troppo presto. E’ chiaro che un giocatore come Mexes può fare gola a tante squadre; sicuramente al Milan, che sta giocando con una coppia di centrali che fanno settantasette anni in due, Maldini e Favalli. E’ chiaro che Mexes sia un obiettivo del Milan e ci può stare che i rossoneri a giugno facciano un’offerta importante alla Roma, sui 18-20 milioni di euro.  Tra l’altro, Mexes ha anche una clausola rescissoria un po’ misteriosa ma che sicuramente c’è. Ancora una volta c’è stata poca attenzione, poca informazione, poco gioco di squadra all’interno della società stessa. Da un tesserato bisogna pretendere che non faccia certe dichiarazioni, che stia più attento, o se le fa devi essere ad un punto di trattativa tale che puoi rispondere senza sorpresa, senza che diventi un caso”.La colpa allora non era dei giornalisti che hanno riportato un’intervista rilasciata da Mexes ad una televisione francese.”Assolutamente. Per restare in ambito francese: se Menez, che non conosce conosce i giornalisti italiani, confessa ad un collega francese di cui è amico che a Roma non si trova benissimo e magari vorrebbe chiedere di andare in prestito a gennaio, posso credere che abbia fatto una piccola confidenza poi amplificata. D’altronde non sa ancora bene dove si trova. Viceversa Mexes conosce benissimo l’ambiente di Roma, sa bene che una dichiarazione di quel genere rimbalza a Roma e crea un caso: non posso credere che sia così ingenuo da non sapere queste cose. E’ più romano dei romani. Allora penso che abbia detto qualcosa di verosimile: ovvero che ci sono forti possibilità che a giugno vada al Milan”Roma e Milano: scenari del giochino Spalletti-Ancelotti.”Ormai è chiaro a tutti che Ancelotti ci giochi su questa cosa. Ha capito che dall’altra parte c’è uno che si arrabbia: non a torto, a mio avviso. Perchè di questa storia ridono tutti tranne uno, cioè Spalletti. Chiaramente ha ragione il tecnico della Roma quando dice che non c’entra in questo gioco: non lo ha ideato lui e ce l’hanno tirato dentro. Se prima di Roma-Milan Spalletti non avesse dato la mano ad Ancelotti, non l’avesse abbracciato, non avesse fatto il simpatico, gli avremmo dato tutti del ‘rosicone’. Invece ci poteva stare che salutasse Ancelotti freddamente. Non c’è dubbio che l’allenatore rossonero abbia messo in difficoltà il collega. Dall’altro lato è anche molto chiaro che Ancelotti scherzi, dica una cosa quando sa benissimo che potrà avvenire come non. C’è un modo di prenderla più sul ridere, ma Spalletti non è quel tipo di persona, non è uno con cui ridi e scherzi facilmente. Quantomeno sul lavoro, non so nella vita quotidiana…”Lei ha recentemente intervistato Menez. Dopo la sosta natalizia alcune fonti avevano individuato nel sovrappeso la causa del suo stop.”Non scherziamo, come si fa a parlare di sovrappeso? L’ho incontrato prima di Roma-Milan, era magro come un chiodo. Piuttosto, la mia intervista è stata molto faticosa: è timido e riservato. Non è stato facile intervistarlo”.Chiudiamo la rassegna dei ‘casi’, o presunti: il rapporto tra Spalletti e Totti.”Sono convinto che tra loro ci sia una totale comunità per quanto riguarda il lato tecnico e tattico del calcio: Totti ha aiutato Spalletti e Spalletti ha aiutato Totti. Dal punto di vista professionale il binomio funziona benissimo. Dal punto di vista della simpatia e del feeling, sinceramente, mi sembrano due persone talmente diverse che facciano fatica ad avere un sentire comune al di fuori del lavoro. Tanto Spalletti è rigido e quadrato, tanto Totti scherza, ride e fa la battuta: in questo è tipicamente. Com’è che si dice? ‘Perdi un amico ma non perdi la battuta’. Totti, come Ancelotti, è un po’ così: se te la prendi finisci male. Si vede che stanno sul chi va la’.Totti ha fatto per la Roma quale nessun altro giocatore e ogni tanto gli viene detto che potrebbe fare di più. Certo, tutti possiamo fare di più. Ma di sicuro non sarà felicissimo di sentirselo dire. D’altra parte quando Totti esterna il sogno di essere allenato un giorno da Ancelottii, non può non sapere che a Spalletti la cosa non farà piacere. Sono piccole punzecchiature che fanno parte del gioco. Finchè le cose vanno bene si può scherzare, quando vanno male gli scherzi diventano più difficili da sopportare”.Veniamo a lei. Come è nata la passione per il giornalismo?”Fin da bambino mi piaceva scrivere, mi piaceva il calcio, per cui sono due cose che sono andate insieme. Dall’83 all’85 ho fatto scuola di giornalismo a Milano. Poi una serie di fortune e casualità mi hanno portato a fare lo sport per il Corriere della Sera”.Fortuna e casualità: che incidenza hanno nella carriera di un giornalista.”Molta, direi”.Ha un modello a cui ispirarsi nel suo mestiere?”No, non ho modelli. L’idea di modello non mi piace, però è vero che ci sono giornalisti fenomenali”.Tra i giornalisti in attività c’è qualcuno che stima in modo particolare?”Ti faccio tre nomi, casualmente lavorano tutti per Il Messaggero. Penso che Enrico Maida sia un capo eccezionale e che Ugo Trani e Mimmo Ferretti, sulla Roma, formino una grande squadra: sono persone con cui lavorerei volentieri. Poi ce ne sono altri, restando nell’ambito romano. Come Massimo Cecchini della Gazetta dello Sport: un esempio perfetto di capacità di affrontare il lavoro, nonché una persona con cui è piacevole parlare”.Cosa differenzia il giornalista sportivo da quello specializzato in altri settori?”La velocità. Sul Corriere della Sera non scriviamo articoli lunghissimi, tendenzialmente vedo tutta la partita e scrivo in un quarto d’ora l’articolo per il giorno dopo. La partita in notturna comporta qualche difficoltà, non è semplicissimo, però cerco di vederla sempre tutta. Ci sono giornalisti che seguono il match durante il primo tempo e iniziano a scrivere nel secondo, perdendosi lo scorrimento. Il nostro lavoro, inoltre, richiede la capacità di scrivere anche in mezzo al frastuono, in mezzo alla gente che urla: se piove, se nevica, se ci sono quarantacinque gradi come durante la finale Italia-Brasile ad USA ’94. Chi ha bisogno dell’ufficio per scrivere, è meglio che rinunci al mestiere di giornalista sportivo”.Il ricordo incancellabile nella sua esperienza professionale.”Due finali di Coppa del Mondo sono una bella cosa. Il servizio più bello, però, lo realizzai in occasione della Coppa America del 2001. Stefano Barigelli, allora capo sport del Corriere, mi mandò in Colombia, dove l’Argentina si era rifiutata di andare per paura dei rapimenti e del terrorismo. Credo che fossi l’unico giornalista italiano. Mi sono girato la Colombia per quindici giorni, un paese dove non sarei mai andato altrimenti”.Un grande racconto, deve essere stato. A proposito: il calcio è così seguito perché disseta l’uomo di storie in cui proiettarsi e identificarsi?”Il calcio appassiona perchè è una delle poche cose che ti fa rimanere bambino, anche a cinquanta anni. E’ uno dei pochi avvenimenti nel giornalismo di oggi dove c’è ancora il racconto: bisogna andare allo stadio, vedere e raccontare. Poi il racconto che un giornalista fornisce è fruibile per tutti: chi vede la partita può confrontarsi con il mio pezzo alla pari. Magari, guardando le mie pagelle, il comune spettatore può dirsi d’accordo o meno. Viceversa, in altri settori il lettore pensa di saperne un po’ meno del giornalista e allora accetta più supinamente la cosa scritta. Poi è ovvio che io speri di saperne un po’ più del lettore, altrimenti che scrivo a fare!”.L’obiettività è alla base del suo mestiere. Ma esiste un testo che non lasci traccia del suo autore?”Scherzi? Tutti i testi conservano una traccia dell’autore. Poi il giornalismo, in generale, è degenerato in questo senso. Basti pensare alle telecronache dei canali dedicati ai tifosi di una squadra, per capire che ormai la richiesta di una gran parte del pubblico non è più un’informazione obiettiva, ma la condivisione di una passione. Il mezzo di comunicazione, comunque, svela sempre la mano dell’autoreTi faccio un esempio: se metto una telecamera fissa, immaginando di riprendere in maniera asettica un avvenimento, senza commento, senza zoom, in ogni caso la scelta su dove posizionare la telecamera influenzerà il punto di vista dello spettatore”.Lo scoop al quale è più legato.”Quando scrissi con un paio di giorni di anticipo che Totti avrebbe lasciato la Nazionale. Non fu solo merito mio, perché fui aiutato dai miei colleghi del giornale. Nelle notti che hanno preceduto la conferenza stampa, anche a quarant’anni, dormii con una certa preoccupazione: non avevo la certezza, ma l’avevo venduta come una certezza”.L’intervista che non ha mai fatto.”Mi piacerebbe intervistare Agostino Di Bartolomei. Forse in qualche modo per chiedergli scusa a nome di tutti. Perchè mi sembra impossibile che nessuno si fosse reso conto di ciò che stava accadendo. Sebbene fosse un calciatore importante, amato dalla sua città e dalla sua squadra”.Il calcio è spietato?”Più che spietato a volte è un po’ superficiale. L’economia è spietata. Il calcio, invece, si dimentica: è un po’ volubile”.E’ italiano.”Sì. In questo facciamo la nostra parte. A proposito di superficialità: l’intervista è un altro campo che negli ultimi tempi ha perso molto . C’è chi ti concede interviste, ma poi ti chiede che non vengano fatte certe domande: allora è inutile. A me non è mai successo, ma perchè sapevano che non sarei più stato interessato. Sono sicuro che escono interviste già concordate. In ogni caso, una volta si chiedeva l’intervista direttamente al giocatore. Adesso devi passare per uffici stampa, procuratori, sponsor che ti obbligano a citare scarpe o costumi olimpionici”.C’è un’intervista che ha piacere di ricordare?”Nel breve quella che ho fatto a Brighi. Era ancora una specie di scommessa, non era ancora esploso. Dissi al giornale: intervistiamo Brighi, è in gamba, è uno che prima o poi viene fuori. La realizzai prima del derby, da lì ha cominciato a giocare e segnare: la cosa mi ha fatto felice. Nel passato sono stato soddisfatto di un’intervista fatta a Zeman, dove ribadiva con molta chiarezza perchè non si sentiva uno sconfitto. Anche se poi era stato l’unico a pagare per aver detto certe cose. Io penso che Zeman non fosse uno sconfitto. Come uomo assolutamente. Come allenatore gli hanno impedito di svolgere il proprio lavoro a certi livelli”.La Roma dei corridori, da Brighi a Perrotta: dove può arrivare?”Con i corridori arrivi sesto o settimo. Con i Totti, Vucinic e Menez può arrivare quattordicesimo l’anno che gira tutto storto, ma puoi arrivare primo l’anno che ti va bene. La qualità nel calcio di oggi è troppo importante. Poi devi avere il giusto mix: ti serve un Brighi, un Gattuso, però una squadra che non ha almeno quattro giocatori di grandissima qualità è difficile che arrivi lontano”.Il suo pronostico per il cammino dei giallorossi in Champions League?”Credo che la Roma arriverà in semifinale. Per come si è messo il tabellone, è possibile incontrare squadre alla portata. Poi in semifinale sarebbe molto difficile: ci sono almeno tre o quattro squadre più forti della Roma. Però Il Monaco e il Bayer Leverkusen sono arrivate in finale, il Porto ne ha vinte due. La percentuale è bassa, ma il successo in Champions non è un’impresa impossibile”.Dal 4-2-3-1 al rombo o all’albero di natale: un cambio travagliato. Se lo aspettava?”In qualche modo, senza prendermi nessun merito, lo avevo chiesto. C’è stato un momento che secondo me la Roma ha quasi dovuto elaborare un lutto. Era morto il 4-2-3-1 e anzichè fargli il funerale è stato impagliato come la mamma di Norman Bates in Psyco: tenuto in una stanza per andarlo a rivedere. Quel modulo, senza i giocatori adatti, era diventato un peso anche psicologico: sembrava che non potesse esistere il calcio al di fuori di quello schieramento. Credo che ai giocatori abbia fatto piacere cambiare. Un po’ come capita alla gente comune, quando finisce un’avventura bellissima: si avverte quasi la necessità di cambiare posto. Come chi va via dalla propria città, per folleggiare, che so, a Parigi e poi tornare. Tornare, chissà…”.Lei nella vita parte sempre per tornare?”Nella vita parto per partire. Poi magari torno anche. Non mi sono mai legato ad un posto, sebbene oggi possa dirmi innamorato di Roma”.Conosce Romanews.eu?”Eccome. Il vostro sito è uno strumento molto utile, anche per noi giornalisti”.E’ un giornalista-tifoso?”Se dico di no a casa mi uccidono! Se dico di sì, dico una mezza bugia. Nel senso: mi impongo di non esserlo troppo. Tra essere tifoso ed essere giornalista-tifoso c’è una bella differenza”.Paga dazio chi mischia la fede calcistica con il mestiere?”Al contrario, ha un sacco di vantaggi. Poi ci sono tifosi e tifosi. Ci sono anche quelli critici, che vengono considerati traditori. Nessuno di noi è un martire, però, sia chiaro”.Qual’è stato il gol che l’ha fatta letteralmente sobbalzare?”Quello di Baggio in Italia-Nigeria ai Mondiali del ’94. Perché stava per finire una storia che nella mia testa poteva essere meravigliosa. E poi ero abbastanza giovane da emozionarmi ancora in quel modo”.Perchè Totti non ha avuto una storia così meravigliosa con la Nazionale?”Perché di storie meravigliose e di amori immensi, nella vita, non se ne possono avere molti. Possiamo avere diversi ‘amori normali’, ma ad uno solo ti leghi per sempre. Totti ha la Roma. Se avesse avuto lo stesso rapporto con la Nazionale, forse, avrebbe lasciato la sua città cinque anni fa. Meglio così, per la Roma e anche per lui”.
Meglio per tutti. Lasciamo il caffè che ci ha ospitati. Luca Valdiserri si guarda attorno, ci indica strade e palazzi. Sampietrini e scorci della Capitale. Forse Roma non è stato il suo primo amore. “Ma come fai a non amarla come la prima volta?”.  Continua a fissarla nei suoi particolari, per poi restituirci lo sguardo. Quindi sorride, saluta con un cenno e si dilegua fra i rumori del Centro.
Simone Di Segni
Le puntate precedenti della nostra rubrica:Guido D’Ubaldo – Corriere dello Sport

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