I 10 Comandamenti superbi per vincere il derby

Redazione RN
15/05/2021 - 16:47

Foto Tedeschi
I 10 Comandamenti superbi per vincere il derby

ROMA LAZIO DERBY COMANDAMENTI – Sul Monte Olimpico, dopo il devastante trittico dell’andata, la Roma riceve il decalogo con le leggi basilari da seguire per non finire a testa in giù nella scarpata.

I 10 Comandamenti superbi per vincere il derby

1) Non avrai altra partita al di fuori di questa
Ultimo appello, ultima chiamata, ultimo giro di roulette dopo l’ultima puntata: Paulo Fonseca, rimasto con una sola fiches sul prato verde, non può che concentrare ogni singola forza rimasta su questa battaglia armata alla penultima giornata. La pallina stavolta deve passare sopra la rete, perchè dopo un campionato così disastrato adesso non è concesso neanche il net: o vince, o vince, perchè se perde si cadrà veramente in rovina.
Tigna e agonismo caratteriale devono essere sprigionati fin dal primo minuto, in modo da accecare come la notte il lampo.
E poi la corsa, somma base e prima fase di ogni sport di movimento, arma letale per occupare con acume tattico tutte le zone del campo.

2) Non nominare il nome di Mourinho invano
Concentrazione massima sul presente, il futuro verrà poi.
Se gioca la Roma di Paulo Fonseca e invece si discute di quella Mourinhana che sarà, significa una cosa sola: avere paura.
Il tifoso giallorosso si rifugia nel futuro è perchè sta vivendo un presente stracolmo di rimpianti. L’oasi felice offerta gratuitamente dal portoghese deve però attendere: il deserto è lì, vastissimo, da attraversare ancora altre 2 mattine e 2 sere.

3) Ricordati di crossare teso
La Roma, volente o nolente, infrange sempre il terzo comandamento.
Da destra o da sinistra, nel momento in cui terzini arrivano sul fondo dopo una discesa gustosa o magari un taglio giocondo, tutto viene vanificato con traiettorie telefonate, lente, a volte cortissime altre assurdamente lunghissime.
Vuoi far male alla Lazio?
Devi, ma solo se l’ultimo passaggio orizzontale verso il centro dell’area non è il solito strazio.

4) Onora il calcio d’angolo e la punizione dal limite
L’autolesionismo calcistico della Roma è evidente non solo dal punto di vista difensivo ma anche e soprattutto da quello offensivo: un esempio lampante sono i corner, battuti sempre tutti da Pellegrini, a prescindere dal lato in cui si è sviluppata l’azione.
La domanda nasce spontanea: ma c’è sempre una sola ed unica soluzione?
Stesso discorso potrebbe essere fatto per i calci di punizione, perchè è veramente imbarazzante come non si riesca mai a sfruttarne l’essenza, lasciando invece tutto amorfo e neutro.
La Roma è folle in questa sua decisione: praticamente compra il terreno per le piante da frutto, ara, semina e cura i germogli dalla crescita allo sviluppo; poi, invece di raccogliere, ci cammina sopra con stivali chiodati distruggendo praticamente tutto.

5) Non giocare orizzontale
Piano piano, e ciò è terrorizzante, ci stanno cadendo tutti.
In dialetto romanesco secco, dinanzi a visioni così orrorifiche, di solito si dice “State pisti!!!”.
Nulla di più vero e meritato, perchè quelle linee di passaggio imbarazzanti per non dire assassine, spesso poco fuori il limite dell’area zona lunetta, sono l’emblema dell’incoscienza più diretta.
Forse è una decisione troppo netta, ma al derby chi passa orizzontale dovrebbe, se avesse un minimo di coscienza, auto-eliminarsi chiedendo il cambio immediato.
Soluzione perfetta.

6) Non commettere retropassaggi al portiere
Troppe volte il tifoso della Roma, davanti alla tivù, ha gridato: “La porta avversaria è di là, non di qua!”.
Nuda e cruda realtà, per una squadra che teme di sbagliare e quindi non osa.
La scena, infatti, è sempre la stessa: possesso laterale in zona mediana, un accenno di pressing avversario e la sfera, viene congelata, destinata indietro dal terzino al centrale di difesa e così fino al portiere, che la rinvia a casaccio nella speranza che accada qualcosa.
Ma alla fine è una palla persa, anzi è un’ignobile resa.
La Roma di Fonseca, esattamente in questo senso, è timida, banale, poco scanzonata e troppo refrattaria.
Cammina all’indietro anziché avanti, senza accorgersi di stare ogni volta in bilico su un crepaccio.

7) Non arrivare secondi sul pallone
In un derby ciò non dovrebbe mai accadere, e qualora avvenisse, sarebbe una follia soprassedere.
Non c’è spazio, all’interno di questi 90 minuti tutti speciali, per l’edonismo e il narcisismo, per i timidi che non amano i lividi e per i ballerini che piroettano in aria: serve invece ruggire, mordere, serve saltare sulla preda e azzannarla prima che fugga aprendo le ali.
Agonismo, agonismo, e ancora e solo agonismo: il pallone deve essere come l’elisir della giovinezza, e per chi in campo eccede in timidezza, quella è la porta.
D’uscita ovvio, non certo avversaria.

8) Non dire che il derby è una partita come tutte le altre
Lode a Zdenek Zeman, unico nel suo genere e mai pudico nell’affermare che “derby è partita come tutte le altre”.
L’importante è che ci sia sempre il fuoco acceso sotto la cenere.
“Non dire” significa espressamente “non giocare”, perchè l’errore più madornale sarebbe quello di ragionare non a livello di attacco ma di difesa, caratterizzando una certa inerzia all’aggressione.
Il derby non è una semplice partita di calcio: è una battaglia tra mito e realtà, e solo con la qualità si può mettere veramente il Re nemico sotto scacco.

9) Non desiderare la rosa d’altri
L’aggressività e la forza d’urto dell’Inter, l’armonia e la bellezza estetica dell’Atalanta, la grinta e la qualità del Napoli: il podio italico dei migliori è tutto nelle giocate di queste tre compagini, fatte di grandi calciatori a prescindere dall’appartenenza e dei loro colori.
La Roma resta comunque la Roma, con tutti i suoi difetti, individuali e collettivi: portieri ai soliti errori recidivi, difensori centrali che non sono perfetti, terzini più malandrini che garibaldini, mediani che spesso fanno gli indiani, trequartisti che latitano ed attaccanti che sul più bello cadono.
Ma la Roma è la Roma, e si tifa per emozioni, non per immagini.

10) Non desiderare i trofei d’altri
3 scudetti in quasi 100 anni di storia sono effettivamente pochi, ma se si aggiungono le 2 Supercoppe italiane e soprattutto le 9 Coppe Italia, la bacheca giallorossa assume una fisionomia lievemente meno spoglia.
La dimensione intraprendente e vincente, unita magari ad un ciclo di crescita permanente, è però ancora lontana, e la mancanza di trofei soprattutto internazionali rende purtroppo giustizia a questa mestizia.
La stagione che sta per finire ha lasciato nel cuore del tifoso degli strascichi devastanti: è rimasto un unico trofeo virtuale da vincere, il derby, perciò… avanti!!!

Matteo Martini

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