• De Rossi e Brighi, due destini **diversi legati da un fiocco granata

    18/01/2009 - 0:00

     
    Scalare la classifica, rincorrere il quarto posto, dare continuità alle vittorie. Obiettivi e speranze che riempiono i bagagli della Roma in partenza per Torino. Insieme a casacche e calzoncini nelle borse dei ragazzi ci sarà spazio anche per ricordi ed emozioni. Ricordi vicini, ricordi lontani. Ricordi legati da un fiocco granata che rimandano ad un destino che poteva essere diverso. Brighi e De Rossi, amici fuori dal campo, diversi, diversissimi sul rettangolo di gioco. Entrambi, però, quando si troveranno davanti le maglie degli uomini di Novellino sorrideranno pensando al passato.
     
    BRIGHI – Matteo Brighi arriva a Roma nell’estate del 2004, contropartita tecnica nell’accordo con la Juventus per Emerson. Nel frattempo in giallorosso è arrivato Perrotta, e Brighi entra direttamente anche in quell’affare, andando a sostituire il centrocampista calabrese a Verona senza neanche passare per la capitale. Da quel giorno, Brighi sembra destinato ad essere rimbalzato in giro per l’Italia per tutta la durata dell’accordo con la Roma. Invece, dopo tre anni passati a suare con la maglia del Chievo, la Roma e Spalletti decidono di fidarsi di lui, e lui in ritiro stupisce tutti. È l’estate del 2007, il tecnico di Certaldo che sta cercando sul mercato un mediano in grado di dare il cambio a De Rossi capisce che forse quel mediano ce lo ha in casa. Inizia la stagione, il campionato  della Roma è straordinario, quello di Brighi invece è lontanissimo da come lo aveva sognato in estate. Un anno in sordina. Tante partite, ma pochi minuti. Poco spazio dall’inizio, poca fiducia in corso di gara. E un feeling che fatica a nascere con i colori giallorossi. A fine anno il bilancio del mediano di Rimini è in rosso e il Torino si mostra interessato a prenderlo, offrendogli la possibilità di rinasce all’ombra della Mole. L’offerta è allettante e l’idea di tornare protagonista conta più degli obiettivi di squadra. È tutto fatto, manca solo la parola di Spalletti. Ma la sua parola stupisce tutti, a cominciare dallo stesso Brighi: “Stai con noi, a gennaio decideremo”. Un attestato di stima importante che sotterra ogni proposito di partenza. Addio Torino. Questa volta però la Roma inizia male la stagione e lo spazio in campo è comunque poco. Poi, come in una rivoluzione, il ‘potere operaio’ soppianta la classe dirigente. Pizarro e Aquilani devono alzare bandiera bianca per dei problemi fisici. Brighi, l’antidivo, diventa il simbolo di una Roma che rinasce dalle sue ceneri riscoprendosi bella e vincente. Trascinata proprio dalle prestazioni di Matteo: migliore in campo contro il Chelsea, due gol al Cluj in Champions League, poi uno al Bordeaux. L’Olimpico è finalmente una casa accogliente. Il Toro, un ricordo lontano. Un ricordo che domenica tornerà ad affacciarsi. In campionato Matteo non ha ancora messo la propria firma. Proverà a farlo domenica, nello stadio che quest’estate poteva diventare il suo.
     
    DDR – È un caldo pomeriggio di primavera, il 10 maggio del 2003. La Roma naviga a vista, niente sogni di gloria, sono lontani i giorni dei successi, anche se le strade della città ne portano ancora i segni. In quel caldo pomeriggio di primavera sul prato dell’Olimpico si scontrano Roma e Torino. Un giorno come un altro: come sempre segna Cassano e come sempre la Roma fatica a chiudere il conto. Sulla panchina giallorossa c’è ancora Capello. E in campo sgambetta un ragazzo di diciannove anni con una spazzola bionda in testa, la faccia da bambino e il fisico da gladiatore. Quel ragazzo è alla prima vera stagione con la Roma dei grandi, e prima di quel caldo pomeriggio di primavera ha giocato in serie A appena centoventiquattro minuti, tutti lontano da Roma. Quel Roma-Torino è la sua ‘prima’ dall’inizio sulla ribalta dello stadio Olimpico, ma il ragazzo non sembra affatto soffrire d’ansia da palcoscenico. Tackle, verticalizzazioni, contrasti aerei. Neanche una ‘stecca’. Poi, inatteso come lo squillo di una tromba, l’acuto. Minuto cinquantaquattro, il ragazzo porta palla sulla trequarti. Rallenta fino quasi a fermarsi. Invece carica il destro in due passi e scaglia un bolide da venticinque metri che colpisce il palo ed entra in porta. Primo gol in serie A. Primo gol con la Roma nel giorno del suo esordio dal primo minuto di fronte al pubblico di casa, che capisce in quello stesso istante di aver trovato un nuovo figlio, un nuovo eroe. Sono passati sei anni da quel giorno. Quel ragazzo è cresciuto, ha alzato nel cielo berlinese una Coppa del Mondo, e dipinto di giallo e rosso due Coppe Italia e una Supercoppa italiana. Dopo quel gol al Torino ha segnato altre venti volte tra campionato e Champions League e scritto il suo nome tra quello dei migliori giocatori del mondo. Oggi tutti sanno chi sia Daniele De Rossi. Qualcuno, dalle parti di Torino, lo ha scoperto prima degli altri.
     
    Matteo Pinci

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